domenica 30 dicembre 2018

Vedova Rina Rètis: I QUADERNI FILOSOFICI di LENIN - Il mio viaggio nella biblioteca di Fosco Neri




Vedova Rina Rètis

IL VIAGGIO NELLA BIBLIOTECA DI FOSCO NERI


Come Vedova Rossa Rina Rètis, ho ereditato, a Marina di Vecchiano, nella casa dove abitavamo, la biblioteca comunista del mio compagno Fosco Neri. Migliaia di libri. Qui i marxismi sembrano una giungla inestricabile di pagine. Pineta fitta. Per dedizione e amore verso corpo e ombra dell'uomo da me amato e che amo, ci entro dentro come esploratrice temeraria delicata incauta. Non ho alcuna vocazione teorica o da studiosa storica, soltanto desiderio d'avventura verso il selvatico Fosco che abitava regno della marxestitudine senza aver mai pensato alla finitudine di questa attorta e tragica parte del mondo suo e di tanti uomini e donne.

Prenderò tra le mani i libri, le copertine, le sue sottolineature e appunti. Forse altre ne vergherò. Qui poserò la mia vedovanza come lieve danza sulla pietra che i nemici di classe han nominata tetra: traditori, borghesi corrotti, tanti quasi tutti in vane estetiche rotti; ed invece racchiude ogni empito dell'umano teso alla libertà dell'essere.

Per me entrare nei marxismi sarà avventura come galleggiare nei marosi salgariani, raggiungendo gli abissi col riattivato Nautilus di Fosco Nemo; come traversare le lande infinite del Klondike di London sapendo accendermi un fuoco. Con rosse vampe. Avventura che potrebbe trovare declinazione in Utopia e Distopia con vicende che riguardarono Fosco, a me narrate, con me oggi come sovversiva. E ciò per sommo divertimento casalingo dove tutto è vero seppur fingo.










LENIN

 QUADERNI FILOSOFICI


Ho con me l'edizione degli Editori Riuniti. Del 1970. Fosco allora aveva diciotto anni. Militava in Lotta Continua. Dopo aver mosso, nel 1968, la sua adolescenza, nel Potere Operaio Pisano. Era il più giovane di tutti tra coloro che avevano responsabilità politiche nell'agitazione e nel coordinamento degli studenti medi negli istituti tecnici. “La piccola guardia rossa”, lo chiamava, con affetto e protezione, Adriano Sofri.

Lenin, per me, è il simbolo, non certo imbalsamato, di come un pensiero rivoluzionario sia irriducibile a qualsiasi manomissione socialdemocratica o liberale. Lenin non lo si può “usare” che in senso comunista e per la sovversione totale del sistema capitalistico. Non c'è in lui, nei suoi scritti, nella sua prassi, neppure un coriandolo di cedimento al pensiero borghese. Questi suoi Quaderni Filosofici, cresciuti, nella lotta politica che poteva implicare anche la morte, l'arresto, la tortura, con i suoi segni di lettura-sottolineatura-ampliamento sono di una bellezza comunista, anche grafica, unica.

Non ho gli strumenti di Fosco per capire quanto Lenin, superando il precedente “Materialismo ed Empiriocriticismo”, stando nelle lotte precedenti la Rivoluzione del 1917, abbia ristabilito l'autonomia del marxismo - teso al sovvertimento del sistema capitalistico -dalla scienza borghese. Superando ogni Positivismo. 

Trascrivo, però, quanto Fosco ha evidenziato sul libro di Lenin, come fondamentale: “La dialettica è la teoria del modo come possono essere identici gli opposti, convertendosi l'uno nell'altro”. 

Fosco aggiunge a lato che la dialettica materialistica leninista aiuta i rivoluzionari a intendere che le strutture della realtà sono esposte alla discontinuità e alle fratture di un tempo possibile detto Rivoluzione. In questa tramatura il compito logico e rivoluzionario dei comunisti contro, conoscendolo, il mondo capitalistico. E per questo c'è da dire grazie ad Hegel. Senza il quale "Il Capitale" di Marx, ribadisce Lenin, è soltanto un libro d'economia, e non uno strumento, il più potente per capovolgere, dialetticamente, il sistema oppressivo capitalistico.

Fin qui ci sono arrivata. E sono stremata. Brava Rina!

Ora mi dedico alle parti più, suggeritrici del romanzesco, per le mie celluline grigie (Poirottina), che Lenin appuntò, filosoficamente, sul romanziere del “Che fare” Cernysevskij.





IL MIO NOME È RINA RÈTIS


Il nome è Rina Rètis. Sono una comunista eterodossa. In passato ho scritto, senza mai stampare un rigo, sulla vicenda del mio legame con Fosco Neri. Il mio amato compagno. Anche pittore. Morto in un oscuro incidente stradale, e penso me l’abbiano ammazzato per certe sue inchieste politiche, nel febbraio del 2017. Ebbe, Fosco,  una vita politica turbolenta negli anni settanta. Un rivoluzionario coerente come pochi.









Mi sono interessata, episodicamente, a un poeta ligure che tribolò in vita con l’immobile tomba del nome, ma da alcuni anni sono soprattutto una donna malata. Una rara e poco conosciuta malattia alle ossa ed ai muscoli mi danno spossatezza, dolori costanti, rinuncia a stare sveglia. Fosco ha scritto sul mio dolore con una tenerezza che a rileggerne gli episodi e soltanto a pensarci mi viene da piangere. Perché non è più con me.  Malattia organica  che mi azzanna la psiche. La morte di Fosco però mi ha data un’energia che prima non conoscevo. Devo proseguire il romanzo comunista, il feuilleton tragico, che tanto lo coinvolgeva con ricerche sul movimento operaio, in un’epoca che questi accadimenti rivoluzionari hanno occultato sotto menzogne, tradimenti, vendette. I più collaborativi, a questo scempio, son stati artisti-artiste letterati-letterate intellettuali. Per questo quasi tutti li evito. Per questo voglio ancora scrivere da comunista qualche frammento. Per questo Rina la vedova rossa appare su certe pagine elettroniche. E Fosco è con me anche se gli altri non lo vedono.