lunedì 17 ottobre 2011

Claudio Di Scalzo. Sul Cucuzzolo della Montagna (in zuccherosa lagna). Da Facebook











Perché sul Cucuzzolo della montagna 

A volte navigo sugli spazi in Facebook dove poeti ed editori si scambiano commenti sui loro libri, gli incontri poetici, le presentazioni, le novità, le antologie, e così via. Mi è venuta fantasia, che volete son cresciuto a pane e Duchamp, di compilare una colonnina Ready-made, perché tali presenze non vadano perse. In un certo qual modo anche questa è un’antologia. Che chiamo “SUL CUCUZZOLO DELLA MONTAGNA”.
A volte certi turgori sembra abbiano una valenza erotica. E non c’è da stupirsi i poeti sono animali a sangue caldo e hanno la coda. A volte scodinzolano troppo. Ad altitudini varie, tutti contenti, ma anche in pianura. Neppure ai tempi di Vincenzo Monti c’era tanta piaggeria verso gli austriaci che avevano la chiave delle stamperie e delle biblioteche italiane. In ogni caso Foscolo li mandò al diavolo. E così fece Montale con i giornaletti del regime che ospitavano versi per i sabati fascisti. Spesso questi poeti sono impegnati contro i vizi del berlusconismo. Appena avrò qualche trascrizione delle escort e veline alle cene ad Arcore vedremo che tante espressioni sono assolutamente uguali. Le chiameremo “SUL CUCUZZOLO DELLA VILLA” - Claudio Di Scalzo

SUL CUCUZZOLO DELLA MONTAGNA

    
♥ ♥ ♥ esageriamo.. ♥ ♥ ♥
Peccato che non possa esserci.
Ci avete creduto ehehehe! Sono sicura che questa giornata sarà per tutti memorabile! Una gabbbia di...p...cioè di artisti!
insomma..ne vdremo delle belle!! Ma gli artisti non sono tutti un pò pazzi??!!
Le voci dei poeti e del mare di Sicilia risuoneranno a lungo
che belle frasi...a presto in Sardegna...vi stupiremo...
Fare palloni rosa, Una gara con Marta, la vaporosa bambina. Spiaccica bene la gomma sul palato Poi mettila sulla punta della lingua -dice-...
Lo Voglioooooooooo! Hehehehhehhe
è già in busta
A parte "MERAVIGLIOSAAAA"! cosa potrei aggiungere?
Forse questo bel concorso di poesia può interessare gli amici la cui strada li ha portati dal mondo a noi
Svegliarsi e trovare tali sorprese. Questo mi piace. Brava Fortuna.
non vedo l'ora di tendere l'orecchio
alla sua arte, alla sua sensibilità e bravura va già da adesso la mia immensa gratitudine e riconoscenza.
Il tuo nome è linfa nutriente
i tuoi piedi, recinto dei tuoi versi

grazie ripetuto centomila volte,
come si dice qui arricamiti ca t'aspittamu
posso dire che mi piace o sembrerebbe brutto?
Oh che bello! Mi sa che ci vengo
sono troppo contenta non ci posso credere
oh sì :) tutti assieme attraVerso!
è un viaggio senza confini... vi abbraccio
lo riceverò molto volentieri! Una buona notte
Vorrei abitare le tue mani, i tuoi angoli tutti, come se sempre fosse possibile entrare piccolo nell'alveo spinoso della tua bellezza
♥ ♥ ♥ grazie ragazzi! Che tesori! un abbraccio circolare a tutti voi
Ci sono parole Attraversati dalle emozioni scopriamo che la magia delle parole porta il cuore a impazzire di incendi


°°°










giovedì 2 giugno 2011

Claudio Di Scalzo:A CHI BRADO A COSTA CORRADO S'ACCOSTA



Corrado Costa
(Mulino di Bazzano, 1929 - Reggio Emilia 1991)



A CHI BRADO A COSTA CORRADO S'ACCOSTA


Caro Giacomo Cerrai, caro pisano sangiulianese

Se pubblichi° Corrado Costa a bella posta
con la sua faccia tosta in Facebook crosta
Dentro al web-bonaccia apparirà come minaccia
Di più!... coltello a chi poeta coltiva orticello
Come tela dell’io genuflesso al capocorrente fesso
Il poeta che ricordi era un ribelle anche al suo fiato
E chi lo lesse e conobbe fu fortunato
Oggi avrebbe altro cimento
Dare scacco ai poeti di corte (web) un momento
Tanto da far capire che così non c’è dimane
Tra Reading ruffiani e leccateweb niente rimane.
E taccio dei poeti morti in giudizioso°° primato
Che lasciano l'inferno poetico sol sfiorato.

Dal pisano vecchianese, CDS detto Accio


(Riferimento al post di oggi, sul blog  "Imperfetta Ellisse"
pubblicato dal poeta e critico Giacomo Cerrai:
"Corrado Costa: una poesia":  http://networkedblogs.com/iBv4Z  
°° Riferimento alla morte del poeta Giovanni Giudici
(Vedi anche "Cartoline" sul magazine L'Olandese Volante

 
 
 
 

domenica 17 aprile 2011

Claudio Di Scalzo detto Accio: Situazionismo e marxismo eterodosso. Ribellione e Rivoluzione (2007)

    

CDS: "Nuvoletta situazionismo in scatoletta"
Il gallerista Roberto Peccolo al pc per illustrare con immagini il dibattito





Claudio Di Scalzo

SITUAZIONISMO E MARXISMO ETERODOSSO.
OVVERO RIBELLIONE E RIVOLUZIONE

Appartengo a una generazione che ha conosciuto il dipanarsi degli estremismi d’indirizzo comunista e marxista. Ho militato, in Lotta continua, giovanissimo, dalla fondazione fino al suo scioglimento nel 1977, e il mio romanzo epistolare, “Vecchiano, un paese. Lettere a Antonio Tabucchi”, pubblicato da Feltrinelli, racconta anche una piccola sezione di questo movimento in un paese della Toscana che guarda il mare e la pineta fra il Serchio e l’Arno. Il titolo di questa comunicazione, alla vostra LIBERA ACCADEMIA DI BELLE ARTI qui in Brescia, ha dunque un legame con le mie conoscenze di politica e con quelle successive di nomade nell’arte, in modo atipico, e nella letteratura. Oggi credo che se il movimento rivoluzionario, in Italia come in Francia, non ha prodotto risultati è perché le idee estetiche del marxismo eterodosso incarnato dal Situazionismo e in parte da ogni avanguardia artistica, non ha trovato eco nei programmi di cambiamento della società espressi dai movimenti rivoluzionari. Ricordo benissimo che anche in Lotta Continua (organizzazione senza basi dogmatiche come erano invece il Manifesto o Avanguardia operaia o Potere Operaio) se abbandonavamo il realismo di Siqueiros, complice nell'assassinio di Trotskij, era per esaltare Orozco. Non certo per leggere e dibattere i testi situazionisti che fecero la loro comparsa, in Italia, nel 1977, quando LC era ormai solo un giornale e non più un partito essendo stato sciolto da Adriano Sofri. Che se ha una responsabilità è quella di non aver creato dirigenti che avessero anche qualche conoscenza dell’arte volta al cambiamento della vita quotidiana. Dicevo della mia presenza qui, che non è soltanto di testimonianza, o per raccontare una sintesi dei rapporti fra situazionismo e politica rivoluzionaria marxista, ma - essendo direttore di un giornale on line: TELLUSfolio da me fondato nel 2005 (direzione cessata nel 2009, NdR) - anche per indicare nel web una frontiera dove l’arte, vaticinata da molti teorici del Situazionismo, può trovare spazi ampi di creatività e di impegno anche politico.

Esprimo poi la convinzione che il marxismo e il comunismo, con i suoi gruppi minoritari, i suoi dogmatismi, le sue biografie ed epocali tragedie, altro non sia che un romanzo avventuroso o un poema da scrivere.

Su carta o su pagine elettroniche a questo punto.
Insomma c’è tanto da inventare, a volerlo, se teniamo d’occhio una pratica del piacere e del ludico andando oltre le mode dell’effimero capitalistico e della carambola delle merci.






PRIMI SQUARCI NEL MONOLITE STALINIANO

Consegnati alla storia e ai cinegiornali opportunamente silenziati i "fatti d’Ungheria", lo stalinismo, l’Unione Sovietica, le democrazie popolari non avevano agli occhi dell’estrema sinistra francese più alcuna credibilità e anche le sintesi trotsckijste sulla burocrazia degenerata, con quel tanto di ambiguità che proponevano non interessavano più come gli anni precedenti. Il XX Congresso apparve ai più vigili marxisti un punto non tanto di svolta verso una maggiore democrazia nei partiti a struttura bolscevica occidentali, bensì l'occasione per ripensare la teoria e la prassi rivoluzionaria. Intanto venne riconosciuta come caduca ogni ipotesi di crollo del sistema sulla scia del radicalismo Trotskjista annunciato nel Programma di transizione del 1938 e messa in discussione, oltre ogni imbalsamazione, il precetto che fossero sempre e comunque le contraddizioni economiche l’origine di qualsiasi cambiamento. Affermare, bisognava, che la sola collettivizzazione della produzione non era adatta né tantomeno sufficiente a liberare l’uomo e lo sfruttato. L’alienazione tiranneggiava a New York come nella fabbrica di pistoni a Mosca.

Corollario a questa conclusione era che bisognava stilare un programma rivoluzionario atto a contemplare un’analisi approfondita delle nuove forme di alienazione e non accontentarsi delle formule basate sul Saggio del profitto espresse nel Capitale, casomai di rileggere gli scritti più giovanili di Marx dove la questione del feticismo delle merci era adombrata come centrale. Se poi diventa basilare la critica all’alienazione, compito dei rivoluzionari è quello di sviluppare una serrata Critica della vita quotidiana. Questo era l’unico squarcio possibile nel monolite staliniano da tentare. Tale Critica è una reazione completa ad ogni dogmatismo staliniano ma anche alla versione più soft kruscioviana o alle fievoli destalinizzazioni nei partiti comunisti occidentali francesi e italiani. Henri Lefebvre autore della Critique de la vie quotidienne, e mi riferisco alla seconda edizione del 1958, sottolinea che gli intellettuali di sinistra, nell’immediato dopoguerra, sono totalmente incapaci di offrire soluzioni teoriche alla mutata situazione di dominio del capitalismo uscito dalla seconda guerra mondiale. E allargando e storicizzando basta vedere i prodotti teorici, ora giustamente visti come complessivamente caduchi, nella cultura italiana a partire dal Politecnico di Vittorini del primo dopoguerra fino a Franco Fortini infatuato dal maoismo. Non a caso quest’ultimo diventerà uno dei fari della nuova sinistra negli anni settanta perché ingentiliva il dogma marxista di umanesimo e letterarietà ma condannando gli esiti del surrealismo e dell’avanguardia, rendeva impraticabile la comprensione degli eventi nella cultura e nel capitalismo intervenuti sotto la pressione dell'americanizzazione di ogni società occidentale. Insomma il brechtismo e il canto della tradizionale lotta di classe poteva valere nel terzo mondo ma non certo nell'occidente che doveva fare i conti con la Coca cola e con i supermercati. Altro intuito quello di H. Lefebvre. Quest'ultimo aveva pubblicato il suo testo fondamentale in prima edizione nel 1947, e attorno al concetto di Modernité ribadiva che il mondo moderno è quello della produzione accumulata dove ogni abbondanza viene profilata all’orizzonte. E questo è il progetto utopico da proporre ai proletari-consumatori. La produzione cumulativa di merci, i progressi della tecnica e della tecnologia. suffragati dalla scienza impongono uno scarto insanabile tra il settore della tecnica produttiva e quello della vita privata. La vita privata si affida sottomessa a questi progressi, incapace di comprenderne gli esiti, l’alienazione raggiunge il suo culmine, e l’uomo diventa conformista mentre innalza peana al modernismo fine a se stesso. Del quale spera di far parte.
Henri Lefebvre individua poi una linea (che a partire dalla sua descrizione avrà anche notevoli semplificazioni fino al cliché) e cioè che a contestare la tecnica sono i romantici tedeschi, ma lo fanno idealmente, sovrapponendo al reale vissuto un immaginario vissuto nel pensiero. Poi tale intuizione, però difensiva, è continuata da Rimbaud e Lautremont e saranno il dadaismo e il surrealismo ad attraversare il linguaggio alienato; però tale proseguo attuato ulteriormente dai surrealisti è stato fatto prigioniero nella realizzazioni di opere d’arte succubi d'un accademismo fuoriluogo. Lefebvre individua anche una qual certa mondanità dei surrealisti come fatto negativo.


DI INCUBAZIONE IN INCUBAZIONE FINO ALLE TEORIE DI GUY DEBORD

La data emblema per la storia delle avanguardie e della sinistra radicale è il 1946. Isidore Isou, di origine rumena come lo era Tristan Tzara, proporrà con il Mouvement lettriste una sorta di creatività totale. Dentro questa cerchia, anche per analisi successive di biografie ed esiti politici, crebbe il nocciolo della contestazione radicale di sinistra contro la cultura della classe dominante. Infatti nel 1952 alcuni autori provenienti dal dialogo-contrasto con Isou fondarono nel 1952 l’Internationale lettriste (rompendo con Isou afflitto dalla sindrome papale) e con il détournement e il progetto di un urbanesimo liberatore spostarono l’accento sopra elementi fortemente contestativi dell’assetto politico-culturale. Più tardi dalla fusione dell’Internationale lettriste con altri gruppi d’avanguardia, nascerà nel 1957 l’Internazionale situazionista. La chimica aggregante di personalità fortemente estroverse e anche narcisistiche fa la sua parte. Ora c’è la formula, anche organizzativa, per analizzare e smontare il mondo moderno con una serrata critica della vita quotidiana.
In questo coacervo accanto alle idee di Lefebvre circolano abbondantemente anche richiami al metodo della critica marxista e a Lukacs. Per l’Internazionale Situazionista la vita nel moderno viene ridotta a sopravvivenza (cioè il vissuto è dominato dai talloni economici). La società occidentale è una società basata sul quantitativo e sul consumabile. Il consumo e la sopravvivenza sono assicurati dal welfare state: è la sola esistenza permessa, e solo ciò che è permesso vi è realizzabile. Questa asserzione è una sintesi che proviene dalla lettura di due testi fondamentali del Situazionismo, vere e proprie bibbie del pensiero radicale e comunista eterodosso: La societé du spectable di Guy Debord, pubblicata nel 1967, e il Traité de savoir vivre à l’usage des jeunes générations, di Raoul Vaneigem uscito sempre nel 1967, a cui vanno aggiunti i 12 numeri della rivista Internationale situationiste. Per i situazionisti la società che corrisponde all'economia dei consumi è quella che è succeduta all'economia di produzione. La nuova società è caratterizzata da una produzione sfrenata di merci. Ma questa produzione accumulata, malgrado le ricchezze sparpagliate sul globo, non permette che l'economia trasformi il mondo in qualcosa di diverso da un mondo dell'economia. Qui si attinge a quella capacità che già in Marx era presente: connotare con un linguaggio anche paradossale i passaggi dell’assurdo nel sistema capitalistico. L'arricchimento può dar luogo solo ad una sopravvivenza incrementata, ma non sposta i vissuti sul qualitativo.
Perché l'estrema quantificazione degli scambi riduce l'uomo ad un oggetto, e banalizza la vita quotidiana: spazio e tempo sono stati unificati dalla produzione capitalista in una “monotonia immobile”, afferma Debord. Ciò giunge fino al turismo, che imita la circolazione delle merci con i suoi “tutto compreso”, i suoi itinerari pianificati, i suoi divertimenti fittizi. L'urbanesimo configura in modo concentrato l'identificazione della vita con un puro spettacolo, in sintesi un’esistenza monotona dove la fantasia è l'eterna sconosciuta.
Il decadimento e la decomposizione della vita quotidiana corrispondono alla trasformazione del capitalismo moderno. Nelle società di produzione del XIX secolo (la cui razionalità era l'accumulazione del capitale) la merce era divenuta un feticcio poiché era vista come raffigurante un prodotto e non un rapporto sociale. Nel secondo dopoguerra tutti i rapporti sociali sono modellati sul consumo e tutti stanno dentro la rete della “razionalità” dello scambio di merci. In questo modo il vissuto si è dileguato progressivamente, giorno dopo giorno, (figuriamoci oggi nell’epoca di Dolce & Gabbana e della pubblicità televisiva e web), in una rappresentazione tutto è rappresentazione. E questo fenomeno economico-sovrastrutturale del capitalismo uscito dal secondo conflitto mondiale e poi sviluppatosi negli anni cinquanta-settanta viene definito dai situazionisti - in primis da Debord che ha coniato questo fenomenale accostamento - Società dello spettacolo. Lo spettacolo dilaga quando la merce occupa totalmente la vita sociale. Come conseguenza in un’economia della merce e dello spettacolo alla produzione alienata (individuata da Marx nel Capitale e nei Grundisse) si aggiunge il consumo alienato. L’escluso moderno, lo sfruttato ad ogni latitudine, il proletario di Marx è diventato non solo il produttore separato dal suo prodotto quanto il consumatore. Il valore di scambio delle merci ha finito per dirigere il loro uso. Il consumatore in occidente è diventato il consumatore di illusioni sempre più a basso costo.
Quanto questa analisi-profezia sia stata veritiera è sotto gli occhi di ciascuno. Come in orribili pollai hi-tech, i polli-uomini, sotto la luce accesa in modo perenne della pubblicità e dei bisogni imposti, beccano inutili granaglie multicolori siano essi tessuti, o auto, o cibo vero e proprio
Sorprende invece che da allora, dal libro di Debord, la sinistra rivoluzionaria o il marxismo radicale non abbia offerto ulteriori contributi per una prassi comunistica di cambiamento.
I situazionisti intuirono e capirono chiaramente che la società dello spettacolo, insediata nelle economie occidentali, si sarebbe poi estesa ai paesi sottosviluppati che pur non avendo la base materiale di tale organizzazione sociale avrebbero imitato le tecniche di spettacolo dei loro ex colonizzatori. (Ci sarebbe da sorprendersi se Che Guervara, nel 1967, in Bolivia, fosse stato tradito da un indios solleticato da un giocattolo di plastica per i suoi figli o da una cassetta di Coca Cola?). Ad ovest la vita viene-veniva regolata dal quantitativo di merci posseduta e ad est stava montando la ribellione contro i regimi post staliniani per avere anch’essi la società dello spettacolo. “Non c’è nient’altro di misurabile se non l’oggetto, perché lo scambio reifica”, afferma sapienziale Vaneigem nel libro ricordato. Il passaggio successivo, che smonta-smontava ogni accusa di francescanesimo pauperista a carico dei situazionisti, è la definizione di “Gestione totalitaria” della vita quotidiana e dei consumi. I situazionisti non dispregiano i beni di consumo. Rilevano, in modo veramente comunista, che non è il loro consumo a produrre alienazione bensì la scelta condizionata proposta e l’ideologia che ci sta dietro. Questa è la gestione totalitaria volta a modellare anche i modi di comportamento. Insomma i jeans sono un atto di libertà indossarli, ma se uno stilista decide la cintura bassa con le natiche esposte, e lo impone da San Francisno fino a Calcutta, questo è totalitarismo.
Serve allora sottolineare che i situazionisti hanno tirato a sé il Marx dei Manoscritti economico-filosofici (quelli che Althusser voleva fossero dimenticati e siccome Althusser influenzò moltissimo la nuova sinistra francese e italiana ciò la dice lunga sulle cantonate poi avute in materia di programmi rivoluzionari) usando gli argomenti sulla reificazione e la feticizzazione e concentrando l’attenzione su quella parte de Il Capitale di Marx, veramente la più suggestiva e proficua - del Libro I, sezione I, IV - titolato: “Il carattere feticcio della merce e il suo segreto”. Se non avessero aggiunto qualcosa, non saremmo qui a parlarne, vediamo dove vanno oltre una semplice esegesi. Diventando marxisti eterodossi, libertari, con forti venature anarchiche e contestative, e per alcuni rientranti nell’utopismo comunista. Fourier ed Owen annuiscono?

L’UNIVERSALIZZAZIONE DI OGNI SEPARAZIONE

I situazionisti ampliano la separazione che per Marx era circoscritta al mondo della produzione a tutta la realtà sociale: divisa in realtà e miraggio. Tra l’individuo e le sue opere, tra l’individuo e i suoi desideri e i suoi sogni si frappone una quantità enorme di mediazioni alienanti. In una società tardo capitalistica il potere di organizzare i desideri e i consumi sostituirà il potere di sfruttare. Anche alcuni “padroni” diventeranno parti sfruttate di questa organizzazione del vissuto. Se si guarda all’economia parcellizzata di oggi, credo avessero visto giusto. In che ruolo sta la fabbrichetta del Veneto con la più grande a Hong Kong o in Germania. Naturalmente queste analisi dei situazionisti miravano ad organizzare una diversa prassi rivoluzionaria del proletariato inserendosi nelle contraddizioni rilevate nella società.
Schematizziamo. Anche se questo diventa il nocciolo della mia comunicazione e cioè il rapporto fra arte d’avanguardia e sinistra rivoluzionaria radicale.
La grande contraddizione che sabota la società dei consumi nasce dal fatto, acclarato, che la produzione cumulativa ha scatenato forze che sopprimono le necessità economiche. La razionalità interna del sistema necessita uno sviluppo economico infinito e soltanto il quantitativo ed il consumabile sono lasciati all’individuo. Saturati i bisogni primari si fabbricano degli pseudo bisogni (la seconda auto, la TV più perfezionata, l’oggetto del tutto inutile ma bellamente colorato). Questo processo porta alla degradazione della vita quotidiana. Però nello stesso tempo gli immensi progressi tecnici fanno intravedere mondi nuovi, soddisfazioni inedite. Analogamente la critica della vita quotidiana, a un primo stadio, si realizza, o dovrà realizzarsi, secondo i situazionisti (e sia chiaro che io sto riassumendo anche una sconfitta di programmi altamente praticabili, ma poi senza seguito nel movimento operaio) dall’interno. Henri Lefebvre parlerà del “reale mediante il possibile” nella Critique de la vie quotidienne ricordata.





COME OPPORSI SE LO SPETTACOLO ABITA L’OPPOSIZIONE PROLETARIA?

L'ampiezza e la localizzazione di questa critica interna, come sempre in affari di programmi rivoluzionari, muteranno negli accenti. Lefebvre dà prova di ottimismo quando afferma che nel piacere e per mezzo di esso l'uomo moderno si rivolterà contro la rottura e la banalizzazione della vita quotidiana. I situazionisti, invece, credono che anche i piaceri come tali siano alienati e che anch'essi devono essere contestati. C'è tuttavia accordo sul nucleo della contraddizione inerente alla vita quotidiana: in essa le forme di vita entrano in conflitto con il proprio contenuto; c'è separazione tra forma e contenuto.
Questa contraddizione produce-dovrebbe produrre una coscienza della separazione, un malcontento, e una prassi rivoluzionaria adeguata. Ma qui nasce una difficoltà: l'opposizione alla classe dominante non è facile, poiché anch'essa è mistificata. Lo spettacolo ha invaso non solo la società, ma anche la sua contraddizione: (e dialetticamente misurando) l'opposizione è divenuta anch'essa spettacolare (ideologica nel senso marxiano). In altre parole, accanto all'accettazione pura e semplice da parte della maggioranza piccolo-borghese, c'è anche una rivolta solamente contemplativa. Essendosi l'insoddisfazione fissata in merce, l'insoddisfatto fa fatica ad uscire dal suo ruolo di insoddisfatto. Infatti la civiltà della tecnica, mentre mette all’ordine del giorno, la felicità e la libertà, inventa l’ideologia della felicità e della libertà, cioè due essenze che sono esattamente all’opposto del loro vero significato. Afferma Vaneigem che l’uomo moderno che si diverte non è veramente felice, recita una parte che gli è stata imposta inconsciamente: risponde ad uno stereotipo. Se sfogliamo i giornali oggi quanti saranno i guai creati dalle discoteche che chiudono all’alba, quanti i corpi straziati sulle autostrade frutto di un esibita felicità forzata?
La concezione situazionista era veramente una scheggia di pensiero radicale totale, assolutamente distante da ogni altra esperienza comunista e marxista. C’è un andamento utopistico millenarista perché pretende di cambiare la vita dell’uomo sulla terra verso una felicità possibile, libera, gratuita, creativa. L’unica ortodossia presente - che evidentemente creerà problemi in futuro viste le modifiche rapide nelle classi sociali - sta nel ribadire che il proletariato resta il soggetto rivoluzionario. A smussare la rigidità di questo programma compare l’affermazione (in Internationale Situationiste, 7, aprile, 1962) che il proletariato visti i ritmi delle modernizzazioni tecnologiche sarà molto vasto fino ad includere settori tradizionalmente esclusi. Ad esempio fasce di dirigenti dei processi produttivi. Ora potremmo identificarli in tutti colori che passano le otto ore davanti ad un pc acceso o un telefono. A questo variegato mondo di sfruttati in progress, anche con la camicia stirata, si riferisce Guy Debord quando parla di “classe storica allargata a una maggioranza di salariati”. (Le commencement d’une époque, in Internationale Situationiste, 12, settembre, 1969). Il vaticinatore sulla modernità Guy Debord aveva lo sguardo roteante dei visionari presi dall’ebbrezza di sentire le piaghe e il caramello del mondo: appartengono al proletariato tutti coloro, immensa maggioranza, che hanno perso ogni possibilità di modellare la propria esistenza! e sia lasciata da parte ogni preoccupazione per la vividezza della tradizionale falce contadina e per il martello operaio: contadini scomparsi e operai d’officina intruppati nei servizi e poi nelle professioni intellettuali e poi saranno coloro che nella società dello spettacolo potranno agire per la liberazione!


PROLETARIATO IN CERCA DI COSCIENZA DEL PROPRIO DIVENIRE

Il proletariato realizzerà l’abolizione delle classi - e intanto risuonano le pagine in rosso turgore del Manifesto del partito comunista - non perché è proletariato – perdinci! – ma perché è l’unico soggetto storico che può innalzarsi alla conoscenza della propria alienazione. Messo in mora lo schematismo del vecchio Marx e del Lenin bolscevico - qui siamo nell’occidente dove compaiono le prime lambrette e i surgelati - e viene ripescato il Lukacs di “Storia e coscienza di classe” che tanto aveva tribolato, per autocritiche varie, e rimosso questo suo saggio. Soggettivismo al primo posto: senza tanti fronzoli: il proletariato avrà il potere divenendo coscienza completa di classe. Allora forza! proletariato occidentale, si lanciano i situazionisti: hai un ruolo storico, giocalo, ovunque, dis-aliena l’umanità. Compito urgente ma difficile. L’alienazione è sociale. Diffusa. Parcellizzata. Il proletariato dovrà abolire tutte, dico tutte!, le alienazioni. Oltre Lukacs e i suoi tentenanmenti patetici di fine vita. (R. Vanegeim: Banalité de base, Internationale situationiste, 7, aprile 1962.
In questo slancio, votivo e votato sappiamo ora al fallimento, il proletariato avrebbe avuto bisogno della dialettica: per innalzarsi alla conoscenza di ogni alienazione, e in particolare di quella più mostruosa-caramellosa: l’alienazione dello spettacolo. Dunque se non sei dialettico, o proletariato, diventalo. E per carità mettiamo da parte la favola della coscienza portata dall’esterno cara ai bolscevichi più o meno mianiaturizzati in occidente: Sartre compreso fino ai gruppi neo-maoisti.


SUPREMA RIVOLUZIONE FAI DELL’ARTE LA REALIZZAZIONE: Il ’68.

Nel contrapporsi al leninismo in servizio permanente effettivo nella sinistra europea (ufficiale o estrema), i situazionisti bruciano febbri anarchiche. Evidenti. Ma ci sono pur sempre differenze. Troppo ideologia ottocentesca negli anarchici, troppo economicismo con questa sempiterna storia dello sciopero generale economico a non finire! Debord striglia anche l’anarchismo storico. Sapienzale ed enciclopedico sempre. Il rifiuto globale anarchico deve avere per meta l’atto supremo: la realizzazione dell’arte. Arte di vivere anche oltre ogni ideologia. Totalmente desiderante all’infinito. (Internationale situationiste, 1 giugno 1968, in Notes éditoriales) L’arte è il settore più alienato e capovolgerlo, rivoluzionarlo, impossessarsene è fondamentale per il proletariato in rivoluzione!
Ecco allora i giovani. Basta con le attese per diventare marxisti adulti. Dalle organizzazioni giovanili a quelle sale e pepe. I giovani sono la base della contestazione sociale. Ma a questo punto è difficile seguire il rapporto giovani-situazionismo: ci sono o provos olandesi e i blousons noir. In più i situazionisti accettano e condividono e spingono per lotte “delittuose”: sfrenate: scioperi selvaggi, lotte anche antisindacali, sabotaggio della politica tradizionale, rivolta continua anche senza motivi apparenti. Qui si coniuga il millenarismo con l’arte d’avanguardia. E alcuni hanno ravvisato in queste tendenze sessantottine l’influsso del gruppo di Socialismo e Barbarie. Che cito di striscio.
Ma se la rivoluzione è sempre fallita, ovvio che va re-inventata. La proposta dei situazionisti è: mettiamo la molla alla contestazione globale del capitalismo moderno. Questo è l’asse di ogni radicalismo comunista presente e futuro. (Guy Debord, come al solito in anticipo ne aveva parlato nell' Internationale Situationiste, 6 agosto, 1961).
La contestazione globale, o detto meglio totale, consiste in una moltitudine di atti spontanei tendenti a modificare radicalmente lo spazio-tempo imposto dalla classe dominante. Questa rivoluzione, il suo progetto in attesa di chi ne faccia prassi quotidiana, non aspira solo alla presa del potere o ad un rinnovamento di classi dirigenti: Macché!: occorre sopprimere il potere in quanto tale e realizzare l’arte che è l’obiettivo finale. La realizzazione della poesia. che ne sarà anche il superamento, esige il riconoscimento dei propri desideri (negati nella società dello spettacolo o scheggiati in tanti puzzle di pseudobisogni finti): la parola libera, la comunicazione vera (non più unilaterale o manipolata) il rifiuto del lavoro produttivo, il rifiuto della gerarchia, di ogni autorità, di ogni specializzazione.
E, colpo di scena!, atteso da secoli...
L’uomo liberato non sarà più l’Homo faber, ma l’artista, il creatore delle proprie opere. (Internationale Situationiste, n. 12, Le commencement d’une époque) La rivoluzione diventerà un atto di affermazione della soggettività di ciascuno dentro un movimento collettivo - bello nevvero?, da lacrime agli occhi! - sul terreno della cultura, che è il terreno più vulnerabile della civiltà moderna.
Questa debolezza l’hanno rivelata i profeti i cui nomi i situazionisti tengono sulla testiera del letto: Lautremont e Rimbaud. I primi a sabotare la cultura ufficiale rivelandone l’intima debolezza. Lo stato di decomposizione. Anche se poi sarà la gamba di Rimbaud a decomporsi e il libro di Lautreamont rischierà di svanire in qualche sottoscala come le sue foto. Ne esiste una sola.
I nipoti di questi illustri progenitori, radicalmente rivoluzionari comunisti come si deve, dovranno inventare mentre rivoluzionano il mondo un nuovo linguaggio, da vera rivoluzione culturale che accende la propulsione all'Essere. Altro che i libretti dei cinesi con il Mao pensiero!
L’obiettivo è andare oltre i distruttori di linguaggi che poi si sono beati della loro bravura iconoclasta come i dadaisti e i surrealisti. E poi perché dirigersi verso il surreale?, è sempre una via di fuga da evitare, bisogna al contrario integrare il meraviglioso nel quotidiano. Perché la vita diventi arte di vivere bisogna che l’arte invada la vita!


PER FAVORE DITEMI PERCHE’ L’ARTE E' TANTO CENTRALE

L’arte ha un ruolo centrale anche nel suo superamento nel processo rivoluzionario, perché l’attività artistica permette la partecipazione dell’individuo al mondo: l’arte è sempre stata la forma più alta di lavoro creativo. L’individuo si può liberare solo se l’arte cessa di essere attività specializzata, se cessa di essere un’attività reificata sotto forma di merce.
Slogans base del radicalismo comunista sfebbrato nell'estetica: ora e sempre: Gli uomini saranno felici il giorno in cui saranno tutti artisti.


CONTRO OGNI ESTETISMO E ARTE SEPARATA

Tra la creazione estetica e lo stile di vita libero artisticamente creativo, la società dello spettacolo ha posto una mediazione (a volte insultante, altre sublime): l’opera d’arte in quanto ricerca d’estetismo. I situazionisti hanno iniziato la loro attività di contestazione alla fine degli anni cinquanta (era il 1957, il lontano 1957 e fumava ancora Budapest e oscillavano la corda degli impiccati, e in Indocina contro gli imperialisti francesi era resistenza e si concludevano i grigi incontri tra arte astratta o realistica in Italia), e prima ancora come targati lettristi, con un attacco completo e a gamba tesa ad ogni estetismo, ad ogni arte separata. In questo cosciente ed eroico sabotaggio, votato al nulla diciamo oggi, hanno inventato una serie di procedimenti corrosivi: il détournement (anch’io, in ritardo, ci ho provato, vedere in calce, prego, queste invenzioni mai pubblicate. Mentre la fotografia di copertina è comparsa sulla rivista L'Immaginazione nel 1981) la guerriglia sui mass-media, la creazione di vignette e di film situazionisti. Ma la loro arma di base, la più elettrica, a voltaggio mortale, resta la critica con la penna: lo stile situazionista ha raggiunto un stile coeso, fiammeggiante, e riprende calchi dal linguaggio hegeliano e marxista, e alcuni elementi dadaisti, e cioè rapida dizione verbale, parole usate in senso diverso, ma soprattutto lo sfarinamento nei testi di dosi massicce di ironia. Lo stesso faccio io oggi verso gli stessi situazionisti, si è capito? La critica deve colpire ai fianchi tutti quelli che non vogliono il superamento della società dello spettacolo, la sinistra tradizionale, i pensatori più o meno fiacchi, e quelli alla moda, e gli artisti che vantano proletarizazioni di facciata e il biglietto da visita con le gallerie più esclusive stampigliato in oro. La rivoluzione come contestazione globale, arte compresa, della vita quotidiana si deve allargare anche all’architetura e all’urbanesimo. Se i desideri verranno liberati ci sarà bisogno di una nuova geografia. Nei primi cinque numeri dell’Internationale Situationiste, che invito a rileggere e non solo i soliti classici citati di Debord o Vaneigem, ci sono progetti interessanti su come passeggiare senza oppressioni, itinerari creativi, nuovi immobili e perfino di città da edificare con un occhio al viver bello e libero.
La soggettività creativa se entra nella storia sul reattore rivoluzionario porta a una totale libertà dei desideri che non potranno abitare vecchie scenografie abitative o di comportamenti.

PROCESSO RIVOLUZIONARIO VECCHIO E NUOVO

Il movimento operaio tradizionale come poteva capire queste idee? E per tradizionale ci metto anche i gruppi della nuova sinistra italiana. Ricordo ancora quando i situazionisti francesi vennero a Pisa nel 1972: fummo allertati noi di Lotta continua e si diffuse l’idea che fossero provocatori fascisti!
Troppo sociologismo nel movimento operaio, accademismo, e professori universitari in cerca di allori. Poi sappiamo come sono finiti. In pensione nel pensiero di destra. O a scrivere biografie. Per i situazionisti la lotta del soggettivo allarga quanto di limitante c’era nell’antico concetto di lotta di classe (l’avrà capito Sanguineti ad esempio e tutto il gruppetto dell’ex Gruppo 63?) e soltanto così si arriva all’uomo totale, l’uomo che si riconcilia con se stesso. Però c’è da capire i gruppi dirigenti o gli iscritti alle organizzazioni tradizionali, i suggerimenti per questa nuova forma di lotta, anche estetica, vengono-venivano ai situazionisti non da economisti o filosofi, ma da autori maledetti ed utopisti: Sade, Fourier, Lewis Carrol, Rimbaud, Lautreamont. Insomma da un immaginario fortemente intriso di letteratura.
E difatti il situazionismo oggi sembra una extravagante forma di letteratura oscillante fra sogno e romanzo fantastico.


LA POESIA AL SERVIZIO DELLA REINVENZIONE DEI RAPPORTI SOCIALI

Intanto ribadiamo il concetto! la soggettività dell’uomo trova la sua soddisfazione liberante nel quotidiano e non nell’economico o nel politico. Questo fa saltare il cento per cento di ogni partito in circolazione in Italia. Come esempio. Accanto allo sfruttamento tradizionale individuato da Marx, e ne abbiamo accennato, c’è lo sfruttamento della creatività quotidiana. Mediocre. Grigia. Frustrante. Anche se specchiata nel tubo catodico o in una palestra rutilante corpi sudati. Per la vita totale c’è bisogno di una nuova forma di poesia. Rivoluzionare le strutture economiche avendo come obiettivo il compimento della poesia. La creatività può rompere le maglie di ogni repressione.
Il web oggi potrà aggiornare questa utopia?
Mi aspetto una risposta dai vari blog. Alcuni abitano antologizzati anche in TELLUSfolio, in Poesia & Blog.
Il traboccamento della soggettività, senza tanti ritorni ad un primitivismo da uomini nelle caverne, per i situazionisti, si ottiene con lo scatenamento del piacere e ha ancora come battito cardiaco le sgregolatezze del ragazzo di Charleville. Che ebbe in sorte di scrivere le Illuminations.


IL ’68 FRANCESE E L’ESTENUANTE DELUSIONE

Sarà il ’68 francese un tremendo banco di prova dei situazionisti. Esaltante per mesi ma poi l’illusione di un superamento del modello leninista o di un proletariato su binari non più economicistici si stempererà nella delusione. Sulle barricate, elegia per qualche film o racconto, per foto da diffondere in Italia destinate ad entusiasmare ragazzi sedicenni come me, ci sarà sicuramente l’illusione che le facoltà creatrici hanno la loro assoluta occasione: che la poesia verrà integrata nella vita quotidiana; in realtà la civiltà ludica non prenderà piede negli anni sessanta e nemmeno dopo. Anzi negli anni settanta soprattutto in Italia, ma anche in Germania non scherzeranno, ci sarà lo sviluppo di forme terroristiche di comunismo. E il mondo fino al 1989 sarà raggelato dal marxismo ossificato sovietico e dagli adepti occidentali. La nuova sinistra italiana ripercorrerà tutti gli schemi più o meno storici del bolscevismo poi diventato maoismo o trotschimo di ritorno.
E anche a livello di lotta contro la produzione capitalistica nessuno raccoglierà l’invito situazionista a riconoscere nel lavoro produttivo una delle valenze del mantenimento dell’ordine. A Parigi nel ’68 lessi la scritta “Evitate il lavoro che vi avvita” o forse diceva imbullona. Gioco diparole e dissacrazione. Tipica del situazionismo. Figlia forse anche dei supermercati aperti a notte e delle nuove tipologie di vita senza fissa dimora, ma voce isolata: il lavoro restava saldamente nelle mani dei sindacati e delle varie confindustrie.
E, spento il Maggio, sconfitti saranno non solo le utopie radical-comuniste dei situazionisti, ma anche i Rimbaud più o meno redivivi in tante rivistine ed happening, che volevano ogni allargamento dei desideri. Ultimo, e non sopito merito del situazionismo, (diventato un forziere per suggerimenti utopistici in cerca di realizzazioni più o meno estetiche) è il richiamo ad elementi irrazionali. Tradizionalmente appannaggio del pensiero di destra. L’irrazionalismo può essere impugnato dalle avanguardie politiche comuniste e poi sommarci gli addendi di gioco e lavoro, e poi ancora saldare la vita pubblica e privata (echi ci furono nel 77), tanto da produrre la cresta fiammeggiante dell' utopia come metodo di esplorazione. Ma vedete com'è facile l'urlo provocatorio majakovskijano tipico di ogni avanguardia. Dopo si si risveglia con la coda fra le gambe e la voce arrochita e le carte dei programmi rivoluzionari buone per incartare il guaito verso la luna indifferente. Sarà l'emblema della vanitas?
Tutti questi elementi non hanno trovato mani per raccoglierli. E nonostante tecnologie e web possano fare da veicolo a un rinnovamento situazionista, siamo ancora nel campo delle ipotesi. Intanto restiamo, io lo faccio anche per vocazione al disincanto virile, mi resti Foscolo al fondo di tutto?, a contemplare il mondo espropriato dai nostri desideri, a veder l’arte sempre più mercificata: ora nei supermercati delle aste, e ogni pensiero realmente rivoluzionario non ha più un soggetto storico che lo faccia respirare.


Claudio Di Scalzo: Comunicazione tenuta alla LABA, Libera Accademia di Belle Arti di Brescia, Martedì 20 marzo 2007, alle ore 16,00, in occasione della presentazione del libro “Lettrismo e Situazionismo” (Edizioni Peccolo, Livorno).




  

martedì 15 marzo 2011

Claudio Di Scalzo Tellus. Andrea Pazienza: L'America. Antologia 1







L'America


È un posto dove mi è stato chiesto di andare. Io volevo andare in un'isola dei mari del Sud, ma... l'America, vada per quest’America. Quando sono partito per New York, senza nessuna voglia, mi attirava solo l'idea di fare il viaggio in aereo, questo lungo viaggio in aereo, come un bambino quando va alla giostra: il divertimento è stare sul trabiccolo, tutto il tempo che intercorre durante gli spostamenti all'interno di questa giostra è tempo perso. Arrivato a New York, sono saltato su un trenino perché ho sbagliato, non ho preso il pullman, dall'areoporto Kennedy ci siamo fatti tutta la sotterranea, quindi non abbiamo visto niente dell’attraversamento del Bronks.

Sbucato sulla 42ma, perché il nostro appartamento era nel punto ideale dove pianterei un compasso per fare un cerchio comprensivo di Manhattan... Eravamo ospiti... 42ma strada, il cuore pulsante, era fantastico, 40 giorni in questo posto stupendo, tutte le volte che uscivo era New York proprio New York. Chilometri a piedi, sbalordimento, i grattacieli di vetro che triplicano il cielo e te lo portano fin nel buio più profondo delle streets, effetto molteplice, distorto, perché adesso li fanno con delle curve paraboliche incredibili.

Poi ci sono gli spazi che sono selvaggiamente incontaminati, le strade con gli scoiattoli nel cuore di New York, dove ci sono tre alberi ci sono gli scoiattoli e sono scoiattoli del bosco di 700 anni prima o meno di 180 anni fa, peggio ancora. L'America è stata fantastica.

Poi sono stato in pellegrinaggio a Woodstock, perché io vado nei posti dei concerti con dieci anni di ritardo. L’anno prima all’isola di White, vento gelido, traghetto mortifero, tempo pazzesco, dieci anni dopo, dov’è, dove sono tutti? Idem a Woodstock, dove ora invece vive una comunità di artisti.


Andrea Pazienza

Da L’autore e il fumetto, 4-5, 1980, Editori del Grifo.


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  (Claudio Di Scalzo www.olandesevolante.com)



                                                              Ehi...cazzabuboli Labos...
                                                                  gavèi de Murbegn..
                                                                  barbon arrafa scritti 
                                                               minchia mia in culo a tia...

(dal fumetto-collage "Le fenomenali avventure della Banda Labosotti. Tradotte dal francese
da Ivagna Lo Cencio"  



 

domenica 6 febbraio 2011

Riccardo Muti e Uto Ughi contro Giovanni Allevi. Doppia merda d’artista 14, 2009

   




La Merda d’Artista compare nella sezione Calamaro Gigante che sul giornale da me fondato e diretto Tellusfolio (2005-2009) si occupava, anche con altre collaborazioni di Politica e società. Il rimando nell’illustrazione, di questa rubrica, è alla celebre scatoletta di Piero Manzoni. Io inscatolo - e questa rubrica la riprenderò su COMPAGNA TELLUS (dove ne riproporrò la sequenza temporale per gli interessati navigatori) e sull’OLANDESE VOLANTE - la merda in forma di citazioni, discorsi, frammenti. A volte viene posta un’etichetta. Dunque un breve commento. A volte la merda è doppia.
La mostra, l’esposizione, di questa Merda d’Artista a mia firma ha ovviamente comportato qualche rischio e conseguenza su chi scrive. E sono sempre pronto a condividerne se c’è, in giro, la direzione espositiva con qualche amico o amica. Scopro tanta lillipuziana punzecchiatura su Facebook e on line,… ma la MERDA D’ARTISTA a firmarla impone un coraggio leggermente più ampio. E conseguenze da sopportare meno frivole.

La MERDA D’ARTISTA e stata esposta in progressione numerica e riguarda i seguenti soggetti defecanti: (MdA 1): Lucio Villari/Piero Melograni/Giano Accame; (MdA 2): Giorgia Meloni; (Mda 3): Barbara Palombelli/Massimo Cacciari; (MdA 4: Paolo Giordano contro Collodi; (MdA 5): Maurizio Gasparri; (MdA 6): Pietro Ichino; (MdA 7): Lucio Dalla; (MdA 8): Benedetto della Vedova; (MdA 9): Aldo Grassi; (MdA 10): Ignazio la Russa; (MdA 11): Rina Gagliardi-Luxuria; (MdA 12): Di Pietro Junior; (MdA 13): Monsignor Richard Williamson; (Doppia MdA 14): Riccardo Muti-Uto Ughi; (MdA 14): Giovanni Sartori; (MdA 15): Vaticano-PdL; (MdA 16): Pietro Ichino; (MdA 17): Sindaco leghista Cristiano Simone; (MdA 18): Piero Marrazzo;
Ripropongo quella doppia, del 16 marzo 2009, dedicata a Riccardo Muti e Uto Ughi. Esiste anche la Merda d’artista singola, n. 14, dedicata a Giovanni Sartori.
Altre rubriche simili che antologizzerò, (dedicate in genere alla Politica e alla cultura di massa con nomi e cognomi) su Compagna Tellus sono “Estate vomitevole”, "Autunno Demeziale”, "Ribollita interrogativa".  Claudio Di Scalzo detto ACCIO discalzo@alice.it


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Riccardo Muti e Uto Ughi contro Giovanni Allevi.
Doppia merda d’artista 14
16 Marzo 2009


Normalmente la “Merda d’artista” inscatolata su Tellusfolio ed etichettata è singola. Stavolta però facciamo un’eccezione perché la “merda” da maestri appartiene allo stesso genere, stesse viscere (anche politiche) e stesso bersaglio: il giovane compositore Giovanni Allevi. Attaccato velenosamente perché estraneo alla casta dei musicisti, perché sostenuto dal web e dai giovani. Intanto il primo maestro in “merda d’artista”, indimenticabile direttore autoritario della Scala, ha cenato in questi giorni, in casa Vespa, con Berlusconi, il cardinale Bertone e Gianni Letta, amabilmente impegnato a blandire per ricevere, magari, il podio stabile dell’Opera di Roma (con benedizione vaticana ovviamente e post-fascista alemanniana) e altre auree posizioni di potere. Il secondo sviolina in TV la sua magniloquente direzione dell’Associazione Uto Ughi per i giovani. Dimenticandosi dello scarso peso dato alla Classica dal “suo” governo di riferimento. Quando governava il primo Prodi, su Amadeus rivista di musica, se la prendeva con Luciano Berio poi diventato Presidente e Sovrintendente dell'Accademia nazionale di Santa Cecilia a Roma, perché quest'ultimo faceva poco per la musica in Italia. Invece fu proprio sotto la sovrintendenza di Berio che anni dopo verrà inaugurato, nel 2002, il nuovo Auditorium Parco della Musica. Proprio un bel tipetto questo Ughi in ideologia e trilli stonati di Destra. Auguriamoci che Allevi continui nella sua geniale spettacolarizzata sbruffoneria epigonale che tanto fa “cacare” gli dei del podio imbacuccati nella intoccabile Tradizione.

Da TELLUSfolio: Calamaro Gigante, 16 marzo 2009
Claudio Di Scalzo detto Accio discalzo@alice.it


MERDA D'ARTISTA DI RICCARDO MUTI

«Io dico che un conto è Maurizio Pollini, altro conto è Giovanni Allevi. Ognuno deve fare il lavoro nel suo campo». (Dal Corriere della Sera, sabato 14 marzo 2008)


MERDA D'ARTISTA DI UTO UGHI


«Il suo successo è una conseguenza del trionfo del Relativismo: la scienza del Nulla. (Benedetto XVI docet, ndr). In altri tempi Giovanni Allevi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio. Non ha alcun grado di parentela con la musica che chiamiamo Classica, né con la vecchia né con la nuova. Questo è un equivoco intollerabile!» (Dalla Stampa, 24 dicembre 2008)

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 GIOVANNI ALLEVI 
 WEBLOG TELLUSFOGLIO - 1 FEBBRAIO 2011








martedì 1 febbraio 2011

Claudio Di Scalzo l'Olandese - Glossa Carbone a: W Céline e abbasso l'Umanismo. Con notizia che Céline sarà sull'Olandese Volante


                        





Claudio Di Scalzo L'Olandese

GLOSSA CALIGINE  CARBONE

 a W Céline e abbasso l'Umanismo

(febbraio 2011)
   
La necessità di grattare via anche un solo francobollo dalla crosta presentabile-alienata del mondo, impone d'ascoltare le voci di angeli nerofumo-carbone-caligine come Céline che, agli angoli dell'esistenza culturale, dove pisciano i colti in congrega (C.A.G.A - CULTURA ASSORBENTE in GERARCHIA ASSISA)  in una delle tante carriere umanistiche per salvare (dicon scrivon cantan messa su di sé!) dall'orina dalle feci dal vomito: la filosofia-letteratura-arti-poesia dell'Homo accà du Femmina d'accostà,... conviene prender nota da questo Angelo Sfumato Nero su quanto di volgare, di orribile, di mostruosamente profumato ci sia dietro e sotto la melassa uniforme dell'umanismo, dell'amor col galateo che condanna ogni eccesso come neo tumorale, del partegiustismo, dell'edificante uso dei tropi della retorica dei miti della chiesa dell'ideologia... e così via diffuso da queste scimmie intruppate in qualche carriera esorbitante lor mezzi (stilistici  e psicologici)... ciò è un atto di fedeltà nei confronti della Solitaria Grande Arte del Novecento S.G.A.N., un tributo alla necessaria ansia di impresentabile (lo si ricordi) che la attraversa e, allo stesso tempo, la netta denuncia della maledizione che la opprime: trasformare tutto ciò che tocca in qualcosa di edificante, come se l’arte la letteratura la poesia dovesse servire a migliorare l’umanità... ah ah ah che idiozia bellebuona! che Stronzata-Bêtise (direbbe Flaubert! che Faraoni Scheletri Danzanti da Salon Caricatural ribadisce Baudelaire)... a proporre teorie salvififiche per sistemi politici e culturali dove ogni errore e bruttura sia redenta sotto la guida dei colti intellettuali dei colti politici dei colti lor mezzi (strumenti du Capital Schizoidal!) bastonanti i mostri nerofumo che a tal missione ridono in faccia.

Io rido in faccia a questi sozzi missionari - le bastonate cerco di schivarle se le becco le sopporto! - e son contento che Céline abbia scritto per me quanto bastava tanto che io possa limitarmi alla nausea e al ghigno verso tal génia di fottuti predicatori in rete su carta stampata su come dovrebbe sdipanarsi ogni cultura per vincere quanto chiaman irridimibile lordura.  E in questo febbraio 2011 ciò declamo come un Ti Amo.


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 W Cèline abbasso C.A.G.A

http://compagnatellus.blogspot.com/2011/02/claudio-di-scalzo-w-celine-abbasso-caga.html


Celebrare la Shoah per celebrare se stessi piangenti. W Céline!
Tellus 31 Antologia

http://compagnatellus.blogspot.com/2011/02/claudio-di-scalzo-celebrare-la-shoah.html




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prossimamente on line

DIREZIONE

CLAUDIO DI SCALZO



 

Claudio Di Scalzo: W Céline abbasso C.A.G.A. (Cultura Assorbente Gerarchia Assisa)






Claudio Di Scalzo

W Céline... abbasso C.A.G.A.



(...) poche voci si alzano a difendere gli Angeli Nerofumo come Céline. Ah beh!, si dice al massimo, era fascista e antisemita ma grande scrittore! Però uomo abietto! … e chi lo dice! Intanto verso la più abietta delle categorie che è la Cultura Assorbente in Gerarchia Assisa C.A.G.A. nel Quaranta come oggi (e per fortuna sempre più i direttori editoriali vengono dai supermercati e se merce ha da essere che la giudichino chi se ne intende di merci!) Céline fu un ribelle e tanti prodi rivoluzionari come Sartre e Camus santificarono il mestiere di scrittore-Redentore (Un Cristo basta ed avanza ed è inarrivabile!) per regnare su di un'intera cultura, la francese e colonie europee… poi faceva il medico gratis e ogni presenza di Sartre anche nel più modesto incontro, ne ricordo uno a Pisa nel 68 o giù di lì! costava un occhio della testa!... e poi Céline è morto tra la merda dei gatti e di altri volatili scatarrosi… e dimmi come crepi letterato e ti dirò se i tuoi libri restano!


(...)  I know my chickens, scrittori pittori poeti et similia, che per una prefazione, un rigo d'attenzione su imbalsamate riviste-testate fossili in carta, che per una plaquette, un reading in truppa pong ping con editore circense! un premiucolo! danno via via malloppi di euro! e orifizi! e altri buchi solitamente usati per altro! e che capitati sul Web e su Facebook si sono autonominati critici della Poesia on Line! con trattati poi riportati su carta da nessuno letti!... 

questi santi poi criticano Cèline! fanno i dottorini del distinguo! opere (carta e discanta) debosciatelli cresciuti con la dialisi di biblioteche allevate nei dottorati di ricerca o nell'esclusione rancorosa dallo scrittoio universitario e a saliva leccata su scranni di maestri arrivati lì per tessera di partito! proni al poeta in Einaudi che stanca e sbianca a cui apparir scimmiette ammaestrate del bon ton relazionale accanto nella mesta fotografia per Bacheca Facebook con l'orfico traballante in qualche incontro para-culato nei dintorni universitari! ahinoi (carta canta e discanta) debosciatelli! … 

Lasciate in pace la salma incorruttibile di Céline… che scriveva, grattandosi il mento, essendo selvatico e meticcio e cane antisemita, ma così voi non scriverete mai! anche se seguite cento corsi di narratologia,… e per questo state nella pisciopoesia!

Claudio Di Scalzo detto Accio


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CARMINA BURANA FINAL FANTASY

http://www.youtube.com/watch?v=b7gNEHSCCj0&feature=related


O FORTUNA TECHNO
version Longhorn SINGERS
   
http://www.youtube.com/watch?v=dRg5D8__Ruk&feature=related




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Claudio Di Scalzo: Celebrare la Shoah per celebrare se stessi piangenti. W Céline! Tellus 31 Antologia

 
  Regina Lippl: Illustrazioni per Tellus 18, 1998. Epoca della "Forma"



W Céline... abbasso C.A.G.A. 

Scopro in Rete ed in Facebook che ad ogni ricorrenza consegnataci dalla storia in tragedia, altissima tragedia - come la Shoah ehmm il Gulag ancora è silenziato così come i campi degli inglesi contro i boeri o dei Belgi in Congo o dei generali Custer contro gli Indiani - ogni soggetto con il suo orticello telematico si fa specchio di un pianto in forma di pixel e trafiletti e video e incaute traduttrici rilanciano gli umanisti e storicisti Sartre e Camus per magnificare un possibile comunismo non staliniano come se su questo non si fossero già smusati dai Situazionisti a Marcuse a Bloch! E cerca per questo visibilità come se la finestrella in campo elettronico fosse un filo spinato, una morte per inedia e frustate. Contemporaneamente poche voci si alzano a difendere gli Angeli Nerofumo come Céline. Ah beh, si dice al massimo!, era fascista e antisemita ma grande scrittore! Ma uomo abietto! … e chi lo dice! Intanto verso la più abietta delle categorie che è la Cultura Assorbente in Gerarchia Assisa C.A.G.A. nel Quaranta come oggi (e per fortuna sempre più i direttori editoriali vengono dai supermercati e se merce ha da essere che la giudichino chi se ne intende di merci!) Céline fu un ribelle e tanti prodi rivoluzionari come Sartre e Camus santificarono il mestiere di scrittore-Redentore (Un Cristo basta ed avanza ed è inarrivabile!) per regnare su di un intera cultura, la francese e colonie europee… poi faceva il medico gratis e ogni presenza di Sartre anche nel più modesto incontro, ne ricordo uno a Pisa nel 68 o giù di lì! costava un occhio della testa!... e poi Céline è morto tra la merda dei gatti e di altri volatili scatarrosi… e dimmi come crepi letterato e ti dirò se i tuoi libri restano!

Nel 1997-1998 indicavo nella Rete un passaggio per re-inventare l’Autore, in scrittura ed estetica. Per questo, conseguentemente, lasciai ogni carriera letteraria tradizionale dopo aver pubblicato in Feltrinelli “Vecchiano un paese. Lettere a Antonio Tabucchi" ritirandomi nella Rete dove da allora sto. Anonimo, con più nomi, con quello con cui firmo Scalzo e appiedato. Per questo posso scrivere di Céline in questa maniera e della “gerarchia” letteraria, di ogni gerarchia”! senza che qualcuno mi venga a rompere moralisticamente le palle con i distinguo etici! e storicisti, I know my chickens, scrittori pittori poeti et similia, che per una prefazione, una plaquette, un reading in truppa pong ping con editore circense! un critico trombone che ammaestra-santifica i poeti in cerca di carriera, un premiucolo! una antologizzazione in libro misconosciuto dove ogni buon gusto chiede aiuto!...  hanno dato via malloppi di euro! orifizi! e altri buchi solitamente usati per altro!  e che capitati di recente sul Web e su Facebook si sono autonominati critici  e interpreti della "migliore in tutte le ore!"... Poesia on Line! con trattati poi riportati su carta da nessuno letti!... questi poi criticano Cèline! fanno i dottorini del distinguo! opere (carta  e discanta) debosciatelli  cresciuti con la dialisi di biblioteche allevate nei dottorati di ricerca o nell'esclusione rancorosa dallo scrittoio universitario e a saliva leccata su scranni di maestri arrivati lì per tessera di partito! proni al poeta in Einaudi Bianca a cui aspirate apparir scimmiette ammaestrate del bon ton relazionale accanto nella  mesta fotografia per Bacheca Facebook se l'orfico traballa in qualche incontro para-culato nei dintorni universitari! opere (carta canta e discanta) debosciatelli! … o lasciate in pace la salma incorruttibile di Céline… che scriveva, grattandosi il mento, essendo selvatico e meticcio e cane antisemita, come voi, debosciatelli!, non scriverete mai anche se seguite cento corsi di narratologia,… e per questo state nella pisciopoesia!

Claudio Di Scalzo detto Accio




STRAPAESANO TELEMATICO

(…) Non c’è più un pensiero che valga dagli Urali a New York. L’evento della tecnica l’ha mandato in pezzi e ne impedisce la riformulazione. Ecco perché il marxismo è crollato, ecco perché l’idealismo è una scatoletta vuota sottospirito. Il nomadismo poi impone l’orizzontalità e il fare Rete. E di nomadismo rizomatico i signori delle lettere e delle arti non vogliono sentir parlare perché è anarchico e ovviamente non rende. Sono lì a fare le uova più o meno d’oro più o meno di rame. Su cosa scrivono? sul loro io lacerato. Che novità! o sui massacri del novecento – campi di concentramento e gulag soprattutto – ricamandoci un piagnisteo illustrato valido per le pagine similculturali di “Sette” o al peggio per “Gente”. Auschwitz accanto alle cosce tornite della signorina che si depila senza dolore. (…)  da " Antonio Tabucchi - Claudio Di Scalzo: Lo Strapaesano Telematico", Tellus 18, 1998. (Numero esaurito verrà riproposto su L'OLANDESE VOLANTE)




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On line terminate le implementazioni nuove...

DIREZIONE

CDS


 

TELLUS 31: Critica della Ragione Provinciale. Lo strapaesano telematico - Antonio Tabucchi/Claudio Di Scalzo -

        

                                                               1998 (numero esaurito)




Claudio Di Scalzo

Critica della Ragione Provinciale.
Lo strapaesano Telematico


Caro Massimo Marianetti o devo scrivere Antonio Tabucchi? (...) Nella tua lettera c’è la grammatica di una salda saggezza kantiana che sicu­ramente si mischia con l’andamento del tuo sguardo sul mondo. So che ti scriverò di getto. Prendermi per le corna sarà un esercizio che forse scom­paginerà la tua lettura delle Lettere Luterane. Straordinarie queste lettere, che tu citi ampiamente, per acutezza e paradosso, ma non le condivido. Io sono a favore della modernità o meglio ne accetto il passo lungo sul secolo perché i provinciali come me li ha libe­rati. Avrei forse potuto conoscere la cultura se non fosse arrivato il fiato moderno a scompaginare i carri di buoi, tanto stabili, e i fienili ricolmi? Ne dubito assai. E le canottiere sudate tanto da strizzarle e gli scaldaletto sotto le lenzuola per difenderci dalle pareti gelide non li rimpiango. E neppure le veglie al camino. Meglio la televisione e le ballerine seminude che ballano. Altro che parroco con la lista dei libri proibiti a misurarti il bollore! che se poi scappavi dalla canonica ritrovavi altri libri, proibiti proibitissimi, nella sezione con la falce e il martello. E so bene,che non ci sono più radici a meno di fantasticarne altre, di altret­tanto forti, diventando un adepto della destra nazional popolare o un caratte­rista folcloristico con la candela in mano in qualche fiera del fondamen­talismo ambientalista. La provincia è una sagoma vuota ma anche la città lo è. E nel movimento bascullatorio fra queste due identità si va e si viene mischiandoci a nostra insaputa. Le strade telematiche fanno il resto. Saint-Germain-des-Prés in Valchiavenna: un simulacro. Ma anche quello parigino lo è. Nella geofilosofia che io penso per illuminazioni, le comunità locali faranno i loro “racconti” contro o al posto (come dice Lyotard) dei “grandi racconti” idealistici e illuministici per rinnovare Comunità e Contratto. E per farlo bisogna sapere chi e che siamo stati. Rivendicare anche la selvati­chezza e come abbiamo preso la Parola. La geofilosofia è un’idea che io prendo dai selvatici novecenteschi, dove posso danzarci le mie inclinazioni al deleuzismo. E con essa il progetto di affidarmi a un pensiero “nomade”, “rizomatico”. Non c’è più un pensiero che valga dagli Urali a New York. L’e­vento della tecnica l’ha mandato in pezzi e ne impedisce la riformulazione. Ecco perché il marxismo è crollato, ecco perché l’idealismo è una scato­letta vuota sottospirito. Il nomadismo poi impone l’orizzontalità e il fare Rete. E di nomadismo rizomatico i signori delle lettere e delle arti non vogliono sentir parlare perché è anarchico e ovviamente non rende. Sono lì a fare le uova più o meno d’oro più o meno di rame. Su cosa scrivono? sul loro io lacerato. Che novità! o sui massacri del novecento – campi di concentramento e gulag soprattutto – ricamandoci un piagnisteo illustrato valido per le pagine similculturali di “Sette” o al peg­gio per “Gente”. Auschwitz accanto alle cosce tornite della signorina che si depila senza dolore. Raccontano i loro dolori fisici, i mestrui nevrotici, le indi­sposizioni amorose che calamitano altre indisposizioni. Sono tutti nipoti imbambolati di Sartre: ovvero di rivo­luzione e salotto: piatti ricercati e molotov imbottigliate a pensiero finto-­trasgressivo che i grulli dovrebbero conservare in biblioteche-cantine. A nessuno di loro viene in mente che l’artista deve diventare impresentabile. Rovistare negli sputi sotto a questo cielo della tecnica. Calcarsi tutte le alterazioni sullo sterno e poi da esse farsi mettere in cinta fino a ridurre il letto a un cimiciaio di sogni marciti. Per cosa hanno transitato la terra angeli come Rimbaud e Céline? Per finire nelle col­lane di saggistica dirette da signori che calzano scarpe che respirano? Invece, caro Massimo, abbiamo questi impet­titi filosofi del pensiero liofilizzato e importato e poi gli scrittori delle nuove generazioni che spiano dai tatuaggi ombelicali ai crack stradali e poi i destri sacerdoti di un brutalismo fiorito alla Pitigrilli. Accanto a questa con­grega, intenti a duettare come in ogni brava commediola putrescente, questa sì provinciale, ci sono i cattivi (quelli che tu indichi nei Pulp e nei Canni­bali) che si fanno il maquillage con i consigli del giovane (anch’esso) stu­dioso di estetica che sa tutto sul bric-a-brac di avanguardia più pubblicità. Questi ragazzi vogliono apparire come i loro più anziani dirimpettai (che però prediligono la carta stampata), ma scel­gono il volo alto sull’etere e l’abbrac­cio con il tubo catodico. Tutti e due i gruppi badano agli sghei. A questi figu­rini bisogna strappargli i peli lì dove fa male. E se non è possibile torcergli il sorrisino con le opere mettiamo un campo minato di silenzio fra noi e loro. Poi ridiamoci sopra. Ridere è un’arte. Rappresentiamoli con il comico ele­vato al cubo e questo genere pesan­tuccio leghiamolo ai loro piedi per farli affondare nella notte epigonale che cala sul secolo. Sarebbero ingoiati comunque ma forse è giusto accelerare la loro scomparsa. Poi, a galla fra le stelle, rimarranno quei dieci o più nomi che lo meritano veramente. Bel programma vero?, ma non è certo una scampagnata. C’è da giocarcisi la cer­vice!

Questo per dirti, caro Antonio-Massimo che la mia selva­tichezza non solo la rivendico ma la coltivo. E se in questa valle d’abeti zuppata nell’autunnale tramonto terra-siena bruciata, dalla mia Pisa dalla storta torre sempreverde, mi arriva alle orecchie il fastidioso zampognare anormale di un pastore dell’insegna­mento universitario sulla nobile “Rivi­sta dei Libri” (ottobre ‘98) che cerca di sfregiarmi con l’accusa infamante (?) di “strapaesano” cantore delle sangui­nose gesta di Lotta Continua (che Sofri rimanga murato vivo dicono le note più stridenti), io con questo belato allupato che annuncia l’irrimediabile inverno della critica ideologica univer­sitaria mi ci scaldo i polpastrelli del cuore e rivendico la mia identità di strapaesano telematico. Per me stra­paesano non è un’offesa. Uno scrittore selvaggio come Fabio Tombari ha scritto il più intenso bestiario italiano del novecento e Mino Maccari è un grande pittore. Non credi che il riflet­tere sul pozzo nero cosparso di corian­doli che è il novecento sia un esercizio spirituale degno? Ma qualcosa posso aggiungere per dirti che strapaesano oggi non vuol dire neppure scrivere romanzi picareschi ambientati in microscopici centri per recuperare il regionalismo crepuscolare o neoreali­sta o le minutaglie di Loria come fanno certi scrittori covati dalla rivista “Tran­spadana”. Questi scrittori, caro Antonio-Mas­simo, sono bandierine portate a secon­dare i venti del mercato librario: se andavi a Francoforte avresti potuto scoprire che contrapposti ai Pulp e ai Cannibali, che giustamente prendi in giro, stanno allevando una genera­zione di morettini spersi a Cesena. Definirmi strapaesano serve anche a non farmi incasellare. Non sarà mica un fascista di sinistra? sai con gli ex di Lotta Continua non si può mai sapere! (...)

A questi neocantori dell’idillio provinciale bisogna che dica, prima o poi, che la provincia bisogna consumarla fino all’ultima zolla e non recu­perarla e da qui raccontare l’esito della nostra appartenenza disertata che già nella parola Herkunft ha il suo doppio destino di appartenenza e prove­nienza. Naturalmente se queste intui­zioni figlieranno opere degne non so dirtelo. Forse sono nato per piantare alberi e ricavarne semi. Non mi lamen­terei di questo destino artistico. Ma ora basta con le campiture sull’idea di Pro­vincia. Voglio riservarmi un poco di spazio per la definizione globale di borghesi che dai, sulla scorta di Paso­lini, a tutti coloro che più o meno sono passati dalla bicicletta alla Punto, stu­diando nella scuola Media unificata. E anche qui scuoto il capo. Dissento. Non posso dirti con precisione a quale categoria economica appartenga, ma so con certezza che sono un rivoltoso e questo stato d’animo, ideale e pratico, sicuramente fa coppia in me con la sel­vatichezza. Se poi questa sia rivolta borghese o proletaria o sottoproletaria non me ne frega assolutamente nulla. Basta non diventare rivoluzionari. Quest’ultimi sono sempre stati contigui con il potere. Loro pensano che alla microfisica del potere si possa rispon­dere occupando a più non posso posti di potere. Si dicono liberali ma pen­sano sempre da marxisti ortodossi. Come vedi l’ex di Lotta Continua, pre­sente allora nei racconti di voi adole­scenti, non ha perso la voglia di andare contro i sistemi di sapere e di potere organizzati. Spero che questo rafforzi la tua stima per me e anche l’affetto. Salutami la “mia” Vecchiano e la torre Ghibellina. A volte, da qui, sento che le ombre dei vivi e dei morti che là si agitano, magari arruffate dal vento mediatico, continuano ad allattarmi. Scopro che oggi mi nutrono anche le Vespe urlanti in circuito perenne attorno a una statua di Garibaldi senza più spada. Intuisco che è una giostra, una delle tante, della postmodernità e non una corona di spine da cingere.


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(da TELLUS 18: "EPOCA DELLA "FORMA"", 1998. Editrice Labos Morbegno)


La rivista-annuario TELLUS  ha terminato la serie diretta da Claudio Di Scalzo con il numero 30 nel 2009.